È una continua, inarrestabile e apparentemente impercettibile variazione sul canone quella che i tre della Fuzz Orchestra mettono in atto con giudizio, equilibrio, parsimonia e gusto da ormai ben tre album lunghi. Ed è una variazione su un canone che essi stessi hanno contribuito a creare, unendo la pesantezza di certo rock – hard&heavy prevalentemente, ma anche molto influenzato dagli umori seventies e da una certa propensione noise (più attitudinale che manifesta) – a una propria concezione della musica per colonne sonore immaginarie, sorta di versione in proprio della library classica che si fa evidenza ideologica (e non solo musicale). In parole povere, sfruttando dialoghi e atmosfere tratte da film del passato, la Fuzz Orchestra riesce a cortocircuitare l’attualità col passato, dando cioè una chiave di lettura dell’oggi attraverso il filtro dello ieri. Uno ieri “filmico” che, come al solito, viene continuamente saccheggiato e rielaborato, sia a livello narrativo, fornendo alle canzoni la “voce” che manca al trio strumentale, sia nei titoli, più o meno espliciti ed evidentemente marcanti un certo tipo di immaginario (Todo Modo su tutti, ma anche Nel Nome Del Padre, Il Terrore È Figlio Del Buio tratto dai dialoghi del “Settimo Sigillo” bergmaniano).
La variazione sul canone a cui si faceva riferimento in apertura viaggia su un doppio binario: musicalmente consiste nell’apporto che ai tre è stato dato dall’ensemble denominato “Esecutori di metallo su carta” formato da Enrico Gabrielli (direzione, Farfisa, piano, voce), Francesco Bucci (trombone), Marco Santoro (fagotto) e Sebastiano De Gennaro (timpano, vibrafono) più il jolly Nicola Manzan (violino), le cui partiture contemporanee danno al suono compatto e diretto della Fuzz Orchestra una nuova alchimia e nuove sfumature. Sul versante dei contenuti, invece, la radicalizzazione delle posizioni si manifesta in quel senso di apocalisse incipiente, indagata a più livelli in un percorso che sa di espiazione, rivelazione, giudizio e scelta con una punta di amara consapevolezza nella speranza dell’avvento de «l’uomo nuovo. L’essere civile. L’uomo che sappia ritrovare l’armonia dentro di sé. Questa è l’unica speranza: l’uomo nel disordine».
Fieri e diretti, senza remore, senza pietà ma sempre con lo sguardo lucido sul passato e sul presente.